Il minore, secondo la legge, è essenzialmente un figlio. La sua esistenza come cittadino lo rende immediatamente titolare di diritti e più tardi di doveri. Gli istituti giuridici cui fare riferimento sono: L’AFFIDO ETEROFAMILIARE E L’ADOZIONE.
L’art.2 della L.183, definisce quali destinatari dell’affido i minori senza distinzione, dal neonato al quasi diciottenne, deprivato, con collocazione, di preferenza, nella regione di residenza dello stesso.
Alla base del ricorso all’affido vi è una doppia valutazione:
•l’attuale incapacità educativa dei genitori naturali,
•la reversibilità o evoluzione degli elementi di precarietà del nucleo di appartenenza.
A partire da queste premesse, l’affido può costituire un’opportunità per minori e genitori con la prospettiva di ritorno nel proprio contesto familiare, che costituisce il focus di questo Istituto.
Per un bambino che non ha genitori psichici, l’incontro con la dedizione dei genitori affidatari, propone un raffronto con il vuoto della famiglia biologica, da cui comportamenti disadattivi, come rabbia, invidia, distruttività, con l’intento di mettere alla prova la famiglia ospitante.
Criteri di scelta della famiglia affidataria
Appare inopportuno per entrambe la parti:
•L’affido a coppie che non hanno potuto avere figli, le quali tenderanno a sviluppare un attaccamento – imposessamento dell’affidato-
•A coppie che hanno perso precocemente un proprio figlio. Qui l’affido rischia di essere funzionale all’angoscia e al dolore del “loro nido vuoto” con un attaccamento, talora, morboso, di quanto perso, con un affanno di sostituzione e confronto con i figli biologici. Ne consegue che in tale situazione lo stesso minore non riesca ad esprimere i suoi vissuti, per non indurre “altro dolore” alla famiglia.
Di contro, si è potuto constatare vantaggioso affidare bambini molto deprivati a coppie senza figli, o con figli già grandi, in quanto disponibili a dare attenzioni, cure quasi esclusive all’affidato.
L’affido a persona singola è stata proposta dal legislatore in considerazione di rapporti già instauratesi con il possibile affidatario. Art. 4 della succitata legge dispone che : l’affidamento venga disposto dal servizio locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la podestà o dal tutore, sentito il minore che ha compiuto i 12 anni di età. Ove manchi il consenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore, provvede il T.M. Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile.
La valutazione dell’aspirante famiglia affidataria deve tenere in considerazione alcuni punti nell’interesse di entrambe le parti coinvolte
In primis, la motivazione a, la disponibilità di tempo, la tolleranza alla frustrazione ad opera e del minore e della sua famiglia naturale, che è presente e con la quale il minore ha spazi di contatto e frequentazione. A ciò si aggiunga, quanto spesso i genitori biologici leggono l’allontanamento del figlio come: “portato via” dagli operatori.L’affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento, all’educazione e all’istruzione, agevolare i rapporti con i suoi genitori e favorire il reinserimento nella famiglia di origine. Tra le difficoltà che l’affidatario si trova ad affrontare, anche se ci sono già state precedenti esperienze, è il disorientamento, la difficoltà a capire cosa fare, vissuti d’impotenza, capricci, pianti inspiegabili, oppositività del bambino. Il bambino sente il divario tra la sua famiglia e quella affidataria, verso cui sorgono e sentimenti di colpa e di inadeguatezza per non soddisfare appieno i suoi bisogni.
I genitori affidatari ritengono importante mantenere buoni rapporti con la famiglia del bambino nella prospettiva di non danneggiare il minore, abbassando il suo conflitto di lealtà.
Spesso questi incontri sono numericamente ridotti al minimo, in altri casi risultano del tutto assenti per un certo periodo.