Il bambino adottato ha sviluppato modelli interni insicuri in seguito alle carenti cure genitoriali, alle esperienze traumatiche vissute e ha appreso strategie adattive per sopravvivere in contesti ostili. Tali acquisizioni continuano a condizionarlo nel suo funzionamento psicologico.
Il bambino può mettere in atto per la propria sopravvivenza strategie basate sulla disattivazione dell’attaccamento, sulla compiacenza, sulla soppressione delle emozioni, sull’aggressività.
Le ricerche ci dicono che vi sono differenze significative tra i bambini collocati in adozione precocemente e quelli collocati in età più avanzata.
Per i bambini collocati da piccoli (tra la nascita e il sesto mese di vita) i rischi evolutivi restano più bassi e la capacità di recupero risulta buona. Anche nel gruppo dei bambini collocati precocemente sono presenti delle eccezioni, quali disturbi della condotta e comportamenti esternalizzati, specie dopo un collocamento adottivo fallito.
E’ più probabile che siano quelli adottati in età avanzata a presentare grave trascuratezza e problemi psicologici maggiori. Alcuni bambini sono dati in adozione dopo una storia di avversità caratterizzata da grave trascuratezza, maltrattamento fisico o emotivo, abuso sessuale, rifiuto.
Gran parte di loro ha subito distorsioni del legame di attaccamento e presenta rischi rilevanti per scompensi nel corso dello sviluppo.
Perché l’adozione sia un processo trasformativo e generativo occorre agire in due direzioni:
- Aiutare il bambino ad accettare esperienze riparative sul piano affettivo ed educativo. Questo richiede che i genitori tollerino senza spaventarsi le modalità disfunzionali del figlio e propongano esperienze correttive con gradualità per rendergli possibile l’accettazione e l’integrazione.
- Aiutare il bambino nell’elaborazione delle esperienze traumatiche subite portandolo ad affrontare i propri vissuti di impotenza, superare i sensi di colpa e lasciarsi alle spalle le modalità relazionali disfunzionali sviluppate come difesa dalla sofferenza.
Gli adottivi portano con sé una doppia appartenenza. La scelta dell’uno o dell’altra rappresenta un tradimento e verso il mondo che ti ha salvato e verso quello che ti ha dato la vita.
Spesso i bambini più piccoli soffrono e provano disagio, che esprimono con disturbi del comportamento, dell’apprendimento, dell’attenzione, del sonno, e qualche episodio di balbuzie che disturba l’eloquio.
In età adolescenziale reazioni di ribellione si manifestano con comportamenti autolesionisti ( bere, fumare, guidare il motorino di notte, senza casco e anche contromano), rabbia incontenibile nei confronti della società e dell’ambiente circostante, ora la scuola ora la famiglia, spesso entrambi.
Quando giungono in adozione già grandi, al confronto con i pari, si sentono diversi, disorientati dal nuovo contesto cui devono adattarsi, meno preparati didatticamente. l’inferiorità accentua la bassa autostima in un momento del ciclo di vita in cui il passaggio da bambino a giovane adulto è una transazione sofferta che porta alla luce scheletri di tempi passasti, non del tutto metabolizzati.
Queste richieste generano ansia, tensione, basso rendimento scolastico, che non è sempre attribuibile alla sfera cognitiva, ma anche alle richieste del contesto ambientale.
In sintesi l’adozione prevede:
- Il distacco dalla famiglia di origine e di qualsiasi contatto con essa, ovvero qualsiasi rapporto con le origini.
- Assumere a tutti gli effetti di essere “figlio” del nucleo adottivo, entrando a fare parte anche dell’asse ereditario, alla stessa stregua di un figlio naturale.
- L’apprendimento di una nuova lingua: quella del Paese ospitante e l’adattamento ad un contesto etnico, geografico, climatico, con usanze del tutto nuove.
- I genitori sono desiderosi di sentire loro il figlio in quanto parte del proprio nucleo familiare, mentre nel bambino vi è sempre presente la paura di essere abbandonato e della diversità, che si ripropone in modo netto in adolescenza, sostenuta da tratti somatici differenti.
- Dal punto di vista giuridico merita una piccola riflessione che si sintetizza nel divenire cittadino Italiano, senza sentirsi né italiano né straniero, diversamente dal bambino immigrato, che viene riconosciuto come straniero, in quanto tale.