Certamente l’evento della morte assume una rilevanza particolare, se questo coinvolge bambini, sia molto piccoli, sia in età prescolare o scolare. Una perdita di questa età dei figli è spesso connessa a una malattia terminale che colpisce l’adulto, ad un incidente, o un evento imprevedibile quali: l’omicidio o il suicidio.
La figura genitoriale che viene a mancare, crea una destabilizzazione nella vita della famiglia e in particolare del minore, in termine di accudimento, cure, protezione e continuità, presupposti della sicurezza e della stabilità nel percorso di crescita, oltre che nell’ autoregolazione dello sviluppo psico-emotivo.
Il vissuto d’impotenza, cui la morte espone, si amplifica di fronte ad un decesso violento, quale un omicidio, cui il bambino può essere stato presente, o a una morte dovuta a suicidio.
Un decesso legato ad una malattia, anche se protratta nel tempo, consente una preparazione graduale al distacco, senza esonerare chi resta, dal fare i conti con due aspetti fondamentali:
- la riorganizzazione dello stile di vita del nucleo familiare e relativo cambio di abitudini,
- l’eventuale inserimento del minore presso terzi, familiari prossimi, o altri, nel caso in cui il genitore rimasto sia tanto sconvolto dal lutto da venir meno, per un periodo, ai suoi compiti genitoriali.
Proteggere il bambino dal dolore: quale senso?
Mi sono più volte confrontata nella pratica clinica , con i familiari o con l’altro genitore, che, appellandosi, alla falsa credenza che il “bambino non capisce”, pensavano di rinviare a tempi successivi.
I bambini in età scolare hanno un’idea chiara della morte. Sono consapevoli che la perdita subita è ineluttabile; mentre quelli di età inferiore ai cinque anni hanno l’idea che il papà o la mamma siano andati altrove, e che la persona deceduta, tornerà.
Diviene importante spiegare cosa significhi la morte, con esempi semplici ma esaustivi, come: “il corpo ha smesso di funzionare, e nessuno può vivere senza il suo corpo”. Se il bambino ha avuto un animale domestico che è morto o se si è vissuta indirettamente questa esperienza risulta più facile spiegare la cosa grazie a un paragone.
Davanti alla perdita di una figura significativa: un nonno, la persona che ha assolto a funzioni materne, un fratello/sorella gravemente malati, il contesto familiare, nell’intento di non nuocere, pensa che allontanare il bambino e informarlo a cose fatte, piuttosto che “glissare”, come se nulla fosse accaduto, lo tuteli maggiormente. È questo il contesto in cui “lunghi viaggi di lavoro” o una “malattia che richiede una prolungata degenza ospedaliera”, diviene la giustificazione per spiegare l’assenza della figura morta.
Perché è importante parlare al bambino della morte?
Non dire al bambino della morte è un errore che va assolutamente evitato, poiché, “il non detto”, aumenta l’angoscia del bambino e con essa la paura di perdere altre persone care, vivendo ogni situazione di separazione, come potenziali occasioni di perdite “irreversibili”.
Il minore, che non può parlare dei cambiamenti in cui si trova coinvolto, dare loro un significato, nutre sfiducia nei confronti di chi è rimasto e aumenta il suo disagio.
È utile riconoscere che quest’ atteggiamento è presente anche in adulti, che non sono stati in grado di sentire il dolore di fronte a loro precedenti lutti. Ciò rende comprensibile, quanto sia difficile affrontare l’argomento con i figli.
Un dolore che si deve materializzare
È l’adulto, nella figura del genitore, o di chi si prende cura di lui temporaneamente, che deve affrontare il tema della morte, perché il dolore possa farsi “parola, pianto, emozione viva”. È questo il primo passo per elaborare il lutto in età infantile per la perdita di una persona cara e con la quale vi è stato un legame di attaccamento forte e profondo.
Interazioni bambino-adulto, quali: essere tenuti stretti tra le braccia, essere consolati quando si rende necessario, condividere momenti di gioco, contatto fisico, prestare ascolto alle sue preoccupazioni, sono tutti comportamenti che liberano a livello neurochimico, ossitocina e oppiacei, ovvero sostanze che favoriscono reciproco stato di benessere e di piacere.
Quando la persona amata, viene perduta, vengono rilasciati gli ormoni dello stress, e si attiva il circuito dell’ansia di separazione che è connesso agli stati di dolore con un incremento di acetilcolina, che induce rabbia ed aggressività. Contatto fisico, vicinanza emotiva, consolazione, riattivano il rilascio di oppiacei e ossitocina, neutralizzando l’alto livello di acetilcolina.
Il bambino a cui non viene detta la verità va incontro a stati di ansia generalizzata, ansia da separazione, timore di perdere l’altro familiare, possibile disturbo post traumatico da stress, calo del rendimento scolastico, turbe del sonno, eventuali condotte regressive, ovvero comportamenti legati a fasi precedenti di sviluppo, stati depressivi.
Il dolore e il disorientamento di chi resta
Non si può pensare che una situazione così dolorosa per tutti, lasci indenne il genitore in vita e i familiari più stretti. Ci sono momenti in cui esso stesso, sopraffatto dal dolore, necessiti di essere sostenuto, con il rischio che il minore, si trovi a non poter fare affidamento neppure su di lui, amplificando la paura di un nuovo abbandono. L’aiuto di un professionista specializzato in elaborazione del lutto per essere capaci di capire ciò di cui un bambino ha bisogno, per la sua crescita. Al di là del lutto per la perdita di un genitore, comporta:
- poter esprimere i suoi sentimenti, compreso il dolore e la tristezza
- porre delle domande a cui seguano risposte “congrue con la realtà”
- poter condividere i suoi pensieri e i suoi dubbi, anche ripetutamente
Se la perdita è avvenuta quando il bambino era troppo piccolo per serbare ricordi del genitore, saranno i racconti degli adulti più prossimi che potranno nutrire con fotografie o altro (carattere del genitore, giochi con il figlio, tempo libero condiviso) questo vuoto.
Le modalità con cui l’adulto e il sistema familiare si trovano a far fronte ad un evento così doloroso, ma anche molto stressante, dipende dalle risorse psicologiche individuali, dalla sua resilienza, dalla capacità di utilizzare risorse emotive, dalla condizione economica della famiglia e dall’entità dei cambiamenti che la perdita comporta.
La presenza di fratelli o sorelle più grandi, può costituire una risorsa e un sostegno per i più piccoli, non un sostituto genitoriale.
Alla stessa stregua gli insegnanti della scuola materna o elementare, dovutamente informati, possono fungere da alleati per il bambino nel suo processo di elaborazione del lutto, offrendosi quali figure di riferimento capaci di ascoltare e di rendere momenti quali :compleanni, anniversari della morte, festa del papà o della mamma, tempi di “fisiologica tristezza”, ma non di esclusione o diversità rispetto agli altri pari. In quest’ accezione, risulta utile, parlarne se il bambino lo richiede o se l’adulto coglie questo suo intimo bisogno.
Un aiuto specialistico
L’adulto deve essere consapevole che il tema della morte verrà affrontato altre volte e con modalità diverse, in relazione all’età e alla fase elaborativa del lutto del figlio, ma anche della propria condizione emotiva.
Da ultimo, può rendersi utile anche un aiuto psicologico per il bambino, attraverso incontri di gioco simbolico, piuttosto che trattamenti con EMDR, una recente forma di psicoterapia finalizzata allo sblocco di ricordi post traumatici, piuttosto che per il genitore.
Non è infrequente che l’adulto, si senta in colpa per non essere sufficientemente presente ad espletare il proprio ruolo genitoriale, se non in termini di soli bisogni pratici.
Sono queste, alcune delle situazioni in cui si rende opportuno cercare un aiuto in modo che anche l‘adulto viva il lutto, dando sfogo al dolore, alla rabbia, al risentimento verso il defunto, e talvolta anche verso la vita ,considerata “crudele ed ingiusta”. Questa sofferenza, spesso si rende necessaria per tornare a trovare nuovo “senso e fiducia” nell’esistenza, mentre il tempo assolve al suo compito “lenitivo”.