Per i più questo processo non accade sempre e, quando accade, la singola sensazione diviene il tutto dell’Individuo: “io sono il mal di denti“. Con un po’ d’esperienza è possibile distanziare la nostra coscienza dai contenuti in cui si identifica.
Con l’allenamento all’ascolto del proprio corpo e di sé, si può constatare che i pensieri e le emozioni possono andare, venire e rimanere sullo sfondo rendendoci appieno consapevoli di questo stato mentale ed emotivo.
La dimensione della consapevolezza fa da spartiacque nella libera gestione della propria libertà interiore, che consente di affrontare in un modo o nell’altro le situazioni che troviamo di fronte e che vengono imposte. La spinta trasmutativa dell’individuo attacca certezze e relazioni, beni e progettti, dando avvio a una nuova e diversa evoluzione esistenziale.
Ad esempio, quando emozioni come depressione, risentimento, invidia, paura, ansia si fanno strada, abbiamo più possibilità: ignorarle, esprimerle o dare loro piena attenzione.
Dato che gli spostamenti di attenzione avvengono in modo meccanico e automatico, producendo nella mente dispersione e affollamento di pensieri, orientarli e non lasciarsi influenzare rende possibile dare loro una “guida” entro cui scorrere. Fermare la nostra attenzione consente di decidere dove e se orientare la nostra volontà.
La frenesia, il voler fare più cose insieme, allontana la consapevolezza di ciò che sta accadendo all’interno di noi e “intorno” a noi. L’accellerato ritmo della vita moderna rischia di diventare occasione per non ascoltare se stessi, inseguendo all’infinito qualcosa che possa dare soddisfazione.
In effetti, nelle tradizioni millenarie, il silenzio è stato identificato come strumento opposto al fare, allentando il lavorio della mente.
I pensieri possono venire ma devono anche scivolare. Il silenzio non è vuoto, ma presenza, come il silenzio della natura.
Se sviluppiamo pensieri, atteggiamenti, azioni che riguardono una determinata realtà, ma in modo ordinato, quasi sequenziale, creiamo le premesse per un agire più ordinato e per produrre risposte meno ansiose dove il rischio di non farcela si riduce.
Ad esempio, in situazioni in cui emozioni come depressione, risentimento, paura si fanno strada, abbiamo le possibilità di ignorarle, esprimerle, dare loro piena attenzione. Queste alternative sono espressione della “libera scelta” della persona, della sua individualità e della sua capacità di assumersi delle responsabilità, anche rispetto a stati d’animo o situazioni, non sempre gradevoli.
Di fronte ad un evento spiacevole, specie se doloroso, possiamo decidere se cercare di comprendere ciò che ci sta capitando e che cosa imparare dallo stesso, piuttosto che negarlo o attribuirne la causa ad un “destino” avverso.
Affrontarlo consente di divenire più saldi e capaci di contare sulle proprie forze, riconoscendo le difficoltà situazioni fisiologiche della vita. Attraverso le difficoltà e le crisi, viene offerta l’opportunità di mettere in evidenza potenzialità nascoste, risorse spesso ignorate.
Scegliere quale atteggiamento avere nei confronti delle situazioni significa “divenire responsabili” di una “scelta personale” non accusando né il mondo esterno né gli altri. Essere responsabili comporta aver selezionato cosa scegliere.
La libertà interiore non è un modo di sopportare passivamente e con rassegnazione una certa realtà, ma può consentire di affrontare le situazioni critiche indipendenti dal nostro volere, anche con un atteggiamento impegnato e responsabile.
La consapevolezza e la scelta fanno da spartiacque nella gestione della propria libertà interiore e consentono di affrontare in un modo o nell’altro le situazioni che troviamo di fronte o che ci vengono imposte.
Garantita la sicurezza primaria, ci si può volgere ai bisogni più elevati fino a alla ricerca di “senso” che si vuole dare alla propria esistenza. Il senso può essere dato dall’individuo, in forza della sua unicità e tipicità, attraverso le esperienze che è chiamato a vivere.
V. Frankl, psichiatra austriaco ,sopravvissuto alla devastazione dei lager affermava:
“il significato non può essere dato ma trovato, e ancor prima cercato”.
In questo spazio possono collocarsi atteggiamenti “più leggeri e superficiali”, e altri più legati alla profondità. Parlando di “bisogni”, non si può ignorare che non sono da intendersi solo quelli primari, ovvero legati alla sopravvivenza fisica (cibo, sonno, sete), ma come ha ben evidenziato Maslow, essendo gli stessi ordinati gerarchicamente, appagati i primi seguono quelli di protezione (sicurezza, certezze), di appartenenza (al gruppo, sia sociale che familiare, di rispetto, stima, affermazione di sé, approvazione) e, da ultimo, quelli volti all’autorealizzazione di sé.
Questa ultima tappa ha a che fare con la capacità di manifestarsi ed esprimersi per “quello che autenticamente l’individuo è”, in totale indipendenza da ciò che gli altri pensano o si aspettano. Nel riconoscere l’unicità dell’individuo e la libertà responsabile delle sue scelte, non si può ignorare, a mio avviso, un altro aspetto, sostenuto anche dalle scienze fisiche: a partire dalla soggettiva l’Unicità, l’individuo non è una entità isolata ma parte di una più ampia struttura, in cui tutti gli elementi risultano tra loro interconnessi.
Questo tipo di pensiero è da sempre stato presente nelle filosofie orientali, specie nel buddismo, denominato (come) “originazione interdipendente”, traducibile in:
tutte le cose si tengono insieme in quanto in funzione di altre, anche se non sempre è dato a priori sapere, quali siano.
Quest’ottica di interconnessione globale, di web esistenziale, poggia su aspetti apparentemente isolati ma tra loro intrecciati ed interconnessi, e che vanno a costituire una “trama unitaria” in cui ogni cosa dipende da tutte le altre.
La spinta trasmutativa dell’individuo attaccando certezze, relazioni, progettti, può farsi presupposto di una nuovo e diverso corso esistenziale, rispetto a quello pensato o presunto.